Sono tanti i temi dipanati dalla pellicola di Paolo Bianchini “Il sole dentro”. Con un doppio piano narrativo il lungometraggio racconta le storie parallele di due coppie di ragazzini immersi in due opposti viaggi migratori. Ma il filo rosso predominante tra le due storie non è solo il tema migratorio, quanto anche quello dei legami.
La prima inquadratura ci mostra due ragazzini seduti schiena contro schiena in riva all’oceano atlantico, che guardano l’orizzonte. Alcune scene tipiche dell’Africa sud-sahariana si susseguono inseguite dalla cinepresa come inserite in un unico piano sequenza: un gruppo di musicisti improvvisano un concerto sulla spiaggia, un bambino gioca con il pneumatico di una bicicletta, alcuni pescatori spingono una barca in mare al tramonto.
I due ragazzini, Yaguine e Fodé, si ritrovano tutte le sere nel piazzale di fronte all’aeroporto di Conakry (Guinea) per studiare sotto la luce dei lampioni insieme a tanti altri coetanei. E’ lì che hanno l’idea di scrivere una lettera ai rappresentanti dell’Europa in cui descrivono la situazione dei bambini africani per chiedere loro aiuto. Una mattina si intrufolano nell’aeroporto e riescono, eludendo la sorveglianza, ad arrampicarsi nel vano ruote di un volo aereo diretto proprio a Bruxelles.
La storia parallela è di Thabo e Rocco, che ai giorni nostri decidono di intraprendere un viaggio per tornare a N’Dula, villaggio africano di origine del primo. Thabo, bambino guineano nonché promessa del calcio ma vittima del traffico di baby calciatori, viene scartato da una squadra di calcio italiana dove è stato portato illegalmente, e per questo viene letteralmente abbandonato per strada, senza spiegazioni. Rocco, orfano di madre, con un padre in carcere di cui ha rimosso i ricordi e uno zio tutore che ha pensato bene di spedirlo lontano nella stessa squadra di calcio Thabo, non appena capisce l’accaduto, decide di lasciare gli allenamenti e seguire il giovane amico, perché sa che quest’ultimo non ha nessuno in Italia che possa aiutarlo. Passando da Bari, dove lo zio appena vede Rocco lo aggredisce, insultandolo e picchiandolo, i due ragazzi riescono ad imbarcarsi per la Tunisia e iniziano così un viaggio rocambolesco che li vede attraversare a ritroso il “sentiero delle scarpe” nel Sahara, che ha segnato la via per tanti africani fuggiti dalla fame e dalla guerra, in compagnia solo del loro pallone, di una mappa geografica e di un adolescenziale ottimismo.
Nel loro cammino incontrano personaggi eccentrici che hanno costruito con poco la loro oasi felice fuori dal mondo, ma sempre pronti a offrire cibo e dispensare consigli ai due ragazzini (un beduino, Philip l’animatore di Radio Oasis e un venditore di aquiloni con i volti di bambini del mondo interpretato da Francesco Salvi).
Ma con l’arrivo al villaggio-comunità di Thabo, le avventure sono solo all’inizio. Scopriamo che oltre alla sua famiglia, che non lo riaccoglie affatto come uno sconfitto, nello stesso villaggio ci sono ancora i suoi ex compagni di calcio, con cui Thabo aveva giocato prima di partire in Italia. Anche l’allenatore è lo stesso. Ma il “Mister” detto anche “Pasta e Fagioli” è Chiara (interpretata da Angela Finocchiaro), che sta preparando la squadra per una partita di calcio, dedicata proprio a Yaguine e Fodé.
Il film prende spunto da una storia realmente accaduta e purtroppo passata quasi in sordina sui media, contrariamente a quanto invece accade con i fatti di cronaca nera di cui siamo bombardati e sommersi fino allo sfinimento. Il 2 agosto 1999, nel vano del carrello ruote di un aereo diretto dalla città africana di Conakry alla città europea di Bruxelles, sono stati trovati abbracciati fra loro i corpi di due ragazzini, assiderati per aver viaggiato a meno 50°, per portare personalmente la lettera indirizzata a “Vostre Eccellenze Signori membri e responsabili dell’Europa”.
“Due cammini della speranza” con mete opposte perché mentre Thabo e Rocco fuggono da chi in Europa ha messo il proprio profitto sopra tutto, Yaguine e Fodé puntano le loro speranze proprio sull’Europa non ancora inghiottita dalla crisi. Rispetto a questi ultimi colpiscono alcuni passaggi della lettera pensata e scritta dai due, chiedendo aiuto ed esprimendo il diritto e la possibilità delle nuove generazioni di vivere in “mondo migliore”.
Le due vicende narrate dal film si fondono poeticamente, trasformando l’evento in mobilitazione. Viene così creata a Conakry una Fondazione presieduta dai genitori di Yaguine e Fodé e una scuola della provincia romana traduce la lettera dei due ragazzini, grazie al mosaico multietnico della popolazione studentesca.
Come si diceva in apertura, il tema dei legami è forte. Il legame di amici per la pelle tra Yaguine e Fodé nonché tra Thabo e Rocco, il legale professionale e affettivo tra Chiara (elemento di congiunzione che lega le due storie migratorie) e la squadra di ragazzini, la totale assenza di legami in Italia sia per Thabo che per Rocco.
Sono molti i film più recenti che hanno affrontato sia il tema dei percorsi migratori, che il tema dei legami. Basti pensare da un lato a: “Welcome” di Philippe Lioret e “Le Havre” di Aki Kaurismäki, dall’altro a: “Tutti per uno” di Romain Goupil e “Il ragazzo con la bicicletta” di Jean-Pierre e Luc Dardenne.
In un’intervista, il regista Paolo Bianchini racconta: “Ho girato laggiù non da colonizzatore ma facendo lavorare gli entusiasti poveri collaboratori del posto, come lo sceneggiatore vecchino in canottiera e giacchetta lisa alla Geppetto che restaurava gli strumenti di lavoro con fango”. Con “La grande quercia”, opera purtroppo uscita nella sale solo all’estero, il regista ha già avuto modo di dimostrare la propria sensibilità nei confronti di soggetti in età evolutiva costretti a confrontarsi con situazioni difficili e apparentemente insormontabili. Interessante è anche la modalità narrativa, costruita attraverso uno studiato montaggio che mescola i due piani temporali.
“Il sole dentro” è una sorta di road movie a piedi, con un titolo è significativo rispetto quanto conti nella vita di ciascuno l’ottimismo e la fiducia nella proprie capacità e nel prossimo, anche se il contrasto con l’esito di una delle due vicende raccontate è lapalissiano. Così come è molto forte anche il contrasto tra i due viaggi, soffermandosi sulla traversata a piedi di Thabo e Rocco alla ricerca di un villaggio che potrebbe simboleggiare un Eden perduto, un’oasi da ritrovare e per cui combattere con una visione a misura di bambino. Patrocinato da Figc, Unicef, Comunità di S. Egidio, Save The Children, Ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione, Ministero dell’Interno e Agiscuola, questo lungometraggio andrebbe proiettato nelle scuole per portare un po’ di sole e far riflettere i nostri ragazzi di oggi, vittime di una società consumistica del “tutto subito”, sui valori e su cosa conti veramente.
Di seguito, il testo integrale della lettera citata nel film:
Loro Eccellenze i Signori Membri e Responsabili dell’Europa
Abbiamo l’onorevole piacere e la grande fiducia di scrivervi questa lettera per parlarvi dello scopo del nostro viaggio e della sofferenza di noi bambini e giovani dell’Africa. Ma prima di tutto, vi presentiamo i nostri saluti più squisiti, adorabili e rispettosi. A tale fine, siate il nostro sostegno e il nostro aiuto, siatelo per noi in Africa, voi ai quali bisogna chiedere soccorso: ve ne supplichiamo per l’amore del vostro bel continente, per il vostro sentimento verso i vostri popoli, le vostre famiglie e soprattutto per l’amore per i vostri figli che voi amate come la vita. Inoltre per l’amore e la timidezza del nostro creatore “Dio” onnipotente che vi ha dato tutte le buone esperienze, la ricchezza e il potere per costruire e organizzare bene il vostro continente e farlo diventare il più bello e ammirevole tra gli altri. Signori membri e responsabili dell’Europa, è alla vostra solidarietà e alla vostra gentilezza che noi gridiamo aiuto in Africa. Aiutateci, soffriamo enormemente in Africa, aiutateci, abbiamo dei problemi e i bambini non hanno diritti. Al livello dei problemi, abbiamo: la guerra, la malattia, il cibo, eccetera. Quanto ai diritti dei bambini, in Africa, e soprattutto in Guinea, abbiamo molte scuole ma una grande mancanza di istruzione e d’insegnamento, salvo nelle scuole private dove si può avere una buona istruzione e un buon insegnamento, ma ci vogliono molti soldi, e i nostri genitori sono poveri, in media ci danno da mangiare. E poi non abbiamo scuole di sport come il calcio, il basket, il tennis, eccetera. Dunque in questo caso noi africani, e soprattutto noi bambini e giovani africani, vi chiediamo di fare una grande organizzazione utile per l’Africa perché progredisca. Dunque se vedete che ci sacrifichiamo e rischiamo la vita, è perché soffriamo troppo in Africa e abbiamo bisogno di voi per lottare contro la povertà e mettere fine alla guerra in Africa. Ciò nonostante noi vogliamo studiare, e noi vi chiediamo di aiutarci a studiare per essere come voi in Africa. Infine: vi supplichiamo di scusarci moltissimo di avere osato scrivervi questa lettera in quanto voi siete degli adulti a cui noi dobbiamo molto rispetto. E non dimenticate che è con voi che noi dobbiamo lamentare la debolezza della nostra forza in Africa.Scritto da due bambini guineani.
Yaguine Koïta e Fodé Tounkara
recensione di Joseph Moyersoen per: Tribunale per i minorenni di Milano