VINCENZO PAGLIA

Isolare gli anziani nel loro “piano” aumenta anche la solitudine degli altri: la mancanza di rapporti intergenerazionali fa sì che, ad esempio, i giovani vengano privati della grande lezione che viene proprio dagli anziani di questa generazione: vecchi che in gioventù conobbero gli orrori della guerra, dei sistemi totalitari, degli olocausti, che costruirono e ricostruirono la pace insieme alle città e alle fabbriche d’Europa. Escluderli dal circuito sociale condanna i giovani a un appiattimento sul presente, che non ha memoria del passato e, di conseguenza, visione del futuro. Le due generazioni, quella dei giovani e quella degli anziani, spesso scartate dalla società come, ad esempio, accade nel campo lavorativo, se riescono a incontrarsi possono portare nel tessuto sociale quella nuova linfa di umanesimo che renderebbe più solidale la società. Perché adolescenza e vecchiaia hanno molto in comune: sono entrambe età della vita “inoperose”, ma non inerti, epoche in cui la vita è trasformazione, esposizione all’incertezza: per i ragazzi, perché devono ancora costruire il futuro; per gli anziani, perché devono ritagliarsi un nuovo posto nel mondo.

L’età da inventare. La vecchiaia fra memoria e identità