IL MANIFESTO DEGLI STUDENTI DI PADOVA
Dal palco del Festival di Salute di Padova (24/26 ottobre 2024), i ragazzi provano a riprendersi in mano le loro vite. Lo fanno presentando un documento con le loro richieste alle istituzioni.
“Essere giovani e studenti in questo momento non è facile. Non lo è mai stato ma il malessere che respiriamo nelle classi e nelle aule universitarie ci dimostra che ora è diverso. Siamo il prodotto di aspettative sociali e familiari asfissianti, una generazione di figli diventati lo specchio della famiglia nel mondo, di bambini cui è chiesto di eccellere e distinguersi dai primi anni di scuola. Fai sport, fai musica, studia, non perché ti faccia crescere ma perché devi vincere ovunque”, spiega Emma Ruzzon, presidente Consiglio degli studenti di Padova. Fu lei, poco più di un anno fa, a parlare di studio come ‘gara’ durante l’inaugurazione dell’anno accademico, ricordando chi ha compiuto atti estremi come il suicidio per la troppa pressione.
Voi studenti, come vedete il domani?
“Tutto è incerto: chissà se avremo un lavoro, se potremo mantenerci fuori casa, quando andremo in pensione, se potremo vivere nelle nostre città e come cambierà la nostra vita a causa del cambiamento climatico? Ci verrebbe da arrabbiarci, ma non capiamo come farlo perché da un lato subiamo emergenze strutturali e dall’altro siamo stati educati all’essere individualisti, non collettività. Stiamo reimparando ad attivarci, ma quando lo facciamo non è cosa gradita”.
Quali sono le maggiori difficoltà per gli studenti?
“Studiare è diventato un privilegio, nonostante la nostra Costituzione dica il contrario: fondi tagliati, affitti alle stelle e una politica sulla casa inesistente, borse di studio non erogate. Se non nasci benestante sai che devi lavorare sodo per provare a mantenerti. Ma non c’è nulla di nobile nel lavorare in nero, a sette euro l’ora e pagare 9 metri quadri di stanza a cinquecento euro. La leggenda della gavetta ora è solo una patina che nasconde un sistema di sfruttamento normalizzato. Quando proviamo ad attivarci ci troviamo davanti ai muri delle Università che non vogliono la politica dalle aule. Ma se politica è analizzare il presente allora cosa studiamo a fare se non possiamo davvero guardarlo in faccia?”.
Cosa chiedete all’Università?
“Il metodo didattico e la struttura stessa dei luoghi di istruzione è diventato quello di istituti professionalizzanti e iperspecializzati. Si è perso per strada il senso stesso di quegli spazi: creare contenitori in cui le persone potessero crescere, scambiarsi idee, convergere e divergere. Il percorso universitario pare analogo a quello di un dipendente che timbra il biglietto: entra, fai il tuo, in maniera lineare è il più rapidamente possibile, accumula informazioni, prendi buoni voti, esci. Ora puoi essere promosso al mondo del lavoro. Non c’è spazio di manovra per i cambi di direzioni, i rallentamenti, le sbandate. È un’autostrada e se non vai dritto e veloce ti schianti”.
Come considerate il sistema di valutazione?
“Avvertiamo le criticità di un sistema basato sul voto da uno a dieci, che rende lo studente un numero, che valuta allo stesso modo persone diverse, precise conoscenze in un determinato momento, senza tenere conto del percorso compito da ognuno. La valutazione numerica, almeno per come è intesa oggi, aumenta la competizione: formarsi è oggi secondario al performare, dobbiamo correre per superare degli standard e soddisfare le aspettative dei genitori e degli insegnanti, per superare i nostri compagni. Siamo all’idea assurda di premiare con del denaro gli studenti che raggiungono la media del 9. Il premio monetario è stato giustificato come uno stimolo al miglioramento di tutti. Sorge una domanda: dov’è ha sbagliato la scuola se per incentivare i ragazzi a studiare dobbiamo pagarli?”
(estratto da “La Repubblica” del 26 ottobre 2024)
CAMPI FILM FESTIVAL PROPONE…
In un film del 2003, “Quel pazzo venerdì” , Jamie Lee Curtis e Lindsay Lohan interpretano una madre e una figlia che, per uno scherzo del destino, si scambiano davvero i ruoli per un giorno. Alla fine, scoprono che nessuna delle due ha una vita così facile come appare dall’esterno.
In altre parole, dovremmo confessare che, se i giovani non hanno grandi speranze per il futuro, tutto sommato non ne abbiamo molte neanche noi adulti. Ed anziché accusarli di essere passivi, dunque, dovremmo riconoscere la mancanza di speranza come un fenomeno sociale e iniziare un dialogo in cui ci viene chiesto, prima di ogni altra cosa, di avere l’umiltà di starli ad ascoltare.